DIARIO NOTTURNO – DALLA FONTANA DEL TOCCO ( di Diego Sergio Anza’)

DIARIO NOTTURNO – DALLA FONTANA DEL TOCCO ( di Diego Sergio Anza’)

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Sono io, la sorella più modesta. Abito qui da 141 anni, ai piedi di questo gigante di campanile che mi toglie l’aria ed il sole. Per giunta le sue campane mi tormentano ed il tocco sadico dell’orologio mi trascina verso l’ignoto.

L’altra sorella, quella più anziana di 189 anni, se ne sta lì, sul piedistallo di Santo Vito, tutta superba e pomposa. Io sono nata per essere sobria ed utile, lei per mostrare le sue armoniose curve ed i sinuosi ricami di cortigiana.

Succede in tutte le famiglie, non mi lamento. In fondo neppure io sono poi così male. Ho un bel vestito bianco di Carrara, una piccola bocca di ottone, il mento colorito di rosso ed i fianchi di fiori e foglie. Sono semplice come le antiche “ragazze di casa”. Quasi mai nessuno si ferma per farmi una carezza o per un semplice saluto. Da sempre tutti vengono solo per succhiarmi la linfa, per prosciugare le mie vene. Io non faccio resistenza, non potrei. Scorre la mia vita per donarla agli altri. Sono paziente, immobile, impotente. Immergono ingordi le mani ed io mi accontento di qualche goccia sfuggita che m’intenerisce i piedi.

C’è un deposito antico del mio umore fresco nell’anima di San Piero. E quante ne ho viste e sentite in questo angolo di vita.

Una volta, soprattutto di prima mattina, era come un assedio. Venivano da tutte le case vicine con sbracciare di crete e stagni vuoti. Mi spremevano senza ritegno, senza un attimo di tregua. Poi subito via, senza una parola di gratitudine. Sotto gli altri. E così per ore, fino allo sfinimento. Meno male che ho un corpo granitico.

Nel tardo pomeriggio potevo un pò rilassarmi. E aspettavo con ansia un amico un po’ strano che scendeva da pagghiarola. Lo chiamavano Anciulu Marzu, per via del suo carattere bizzarro. Parlava solo con se stesso e teneva sempre un mozzicone spento tra le labbra nere. Si avvicinava lentamente come un gatto alla preda. Prima di toccarmi, rovistava nella sua tasca di velluto, tirava fuori un’arruginita “spiritiera” e cercava di accendere il tabacco. Niente da fare. Sempre così. Un rito spento. Allora incazzato, buttava a terra mozzicone e “spiritiera”. Immediato, doloroso pentimento e ricerca affannosa. Io ero contenta. Almeno qualcuno che mi girava attorno. E poi c’era u Fusu, che aveva il chioschetto accanto e che veniva per il suo serale lavacro, prima di allestire il canestro di calia e noccioline. E prima di dare un’occhiata alla bandiera rossa che svettava sul piccolo tetto della rivoluzione.

E poi c’erano le voci ed i canti degli arabi che salivano dalla stretta strada alle mie spalle.E poi passavano facce derelitte con erbe sulla testa per la cena.

E poi c’erano i nobili del circolo che non mi degnavano di uno sguardo e che abbandonavano le sedie estive dopo una giornata di sudore. Ho sempre saputo che un po’ oltre c’era l’altra metà della piazza. E lo sguardo sul fiume e sul mare. Prigioniera del mio duro destino, non li ho mai potuti vedere.

Sono ancora qui, inchiodata alla mia immobile magia. Mia sorella continua a fare la smargiassa. Io ho il vestito lacerato e sporco. Ho fatto tanto bene e continuo a farne ancora.

CHI ABITA SÙ NEL PALAZZO POTREBBE OCCUPARSI UN PO’ DI ME?

Grazie, resto in attesa. E buone feste a tutti.

 

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Diego Sergio Anza’

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