DIARIO NOTTURNO- SAN PIERO  / NON PUÒ SPEGNERSI QUELLA MEMORIA ( di Diego Sergio Anzà)

DIARIO NOTTURNO- SAN PIERO  / NON PUÒ SPEGNERSI QUELLA MEMORIA ( di Diego Sergio Anzà)
L’ IMMAGINE SOTTO, MI RALLEGRA E MI RATTRISTA NELLO STESSO TEMPO. SONO CONTENTO DI VEDERE LA SIGNORA PIPPINA E SUA NUORA MENTRE “SCOLPISCONO” QUELLA MERAVIGLIA  DI TORTA NUZIALE.
LA FIGLIA…DI MICHELANGELO E LA SUA BRAVA ALLIEVA.
MA A CURRIERA SEMBRA ESSERSI FERMATA PER SEMPRE E LE PORTE RESTANO CHIUSE. ED I VETRI BUI.
NON È POSSIBILE, NON PUÒ SPEGNERSI QUELLA MEMORIA. IN QUEL BAR–PASTICCERIA C’È UNA PARTE IMPORTANTE DELLA STORIA DI SAN PIERO, DELLA NOSTRA IDENTITÀ.
NON SO ESATTAMENTE COME, MA OGNI SAMPIROTO DEVE FARE QUALCOSA PER SPINGERE QUELLA CURRIERA A RIPARTIRE. PER RIPRENDERE QUEL DOLCE VIAGGIO.(Ripropongo un mio ricordo, scritto tempo fa).diario_notturno_bar_Fazio_sanpieropatti24_slider_001                              IL BAR DI ARMANDO ——- E tutti…sospiravano. L’orologio del campanile si guardava attorno ed annunciava che era mezzogiorno. Domenica. La tavola ridacchiava ed anch’essa sospirava.
Calma, calma, con questi sospiri. Nel bar di Armando c’è folla ma nessuno andrà via scontento. Su un letto di vetro scuro stanno sdraiati paradisi di zucchero e cannella, smeraldi di pistacchio, balocchi di cioccolato e vaniglia, pani spagnoli, canne di ricotta, violate minne di monaca, cuori di mandorla e falli di cimino. Stanno tutti insieme, si abbracciano, hanno paura di essere presto rapiti. Alcuni, i più numerosi, hanno pure un occhio di cedro e scrutano i sospiri dei predoni. Sanno che il loro destino è segnato. Una breve vita. Si avvicina l’ora di morire per dare piacere. Dal buio di un vassoio a quello di gole vogliose.
Spesse volte la loro vita aveva solo l’istante di un brivido. Prima d’incartare-diceva il “domenicano”–subito fatemi…sospirare, non resisto. E, lussurioso, trangugiava.
I sospiri da “curriera”, i dolci immortali di Armando.
L’altro giorno il ricordo si è infranto in una mesta visione, in un dolore inaspettato della memoria. La storia si è  fermata. Le porte di quel bar si sono chiuse in un lamento. Senza il tempo di un sospiro.
Dopo anni ed anni di gloria, il bar della signora Peppina e di suo figlio Armando ha la saracinesca abbassata. Un singhiozzo mortale, improvviso.
Non so quali siano i motivi di questo decesso e non mi interessa conoscerli. So solo che svanisce anche un pezzo della mia gioventù e di quella di tantissimi altri. Mi sono fermato davanti a quella serranda di ferro crudele. C’erano folate di scirocco. Mi spingevano oltre, ma ho dato lo stesso uno sguardo oltre il buio. E tutto si è ricomposto e ha preso vita. Ho visto la signora Peppina, Armando, sua moglie, Nino, Vincenzo e Pippo. Ho davvero sospirato.
Ho visto tavoli antichi di ferro e legno e tanti amici seduti in… dolce attesa. Ho visto cremosi ghiacci di limone, spumoni con l’anima bianca, fragole imbalsamate ed anche allegrotte gazzose. Ed i primi flipper, il jukebox l’americano e l’arpiglio di ferro pronto a ghermire le Marlboro. E c’era Mike che faceva rischiaretutto.

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E prima ancora mi sono visto mentre chiacchieravo con Armando, amico intelligente, gentile, disponibile, gran nocchiero su quella nave di delizie. Parlavamo un pò di tutto, in piena confidenza. Una volta mi raccontò dell’avventuroso viaggio, quasi sempre a piedi, con mio padre ed altri sampiroti, da Roma ai Nebrodi. Quando nel ’43, tutto era miseramente crollato ed era giunta l’ora di tornare a casa. Ed altro, altro ancora, in compagnia delle profumate Muratti e e delle Turmac che per primo aveva fatto giungere al paesello.
Nei giorni del ghibli, porte e finestre sbadigliavano, i fiumi di granita s’ingrossavano e le parole s’intorpidivano. Stavamo nel fiato di quel vento sabbioso, in attesa della notte consolatrice. Solo il campanello di Pippo rompeva il torpore. Annunciava l’arrivo, dal laboratorio, delle damine di mandorla. Fanciulle profumate di vaniglia. E delle paste di Riposto, specialità unica della Casa e goduria universale. Così anche il  vento libico si ritirava nel deserto.
Un magnete il bar di Armando. Tutte le strade portavano lì. Anche nelle prime ore che precedevano l’alba. La signora Peppina, ormai in tarda età, non aveva più tanta dimestichezza con l’orologio. Abituata, puntualissima,  all’arrivo della corriera per Messina,  anticipava di qualche ora l’apertura del suo amatissimo bar. Pronta a mettere carbone alla…locomotiva dei caffè, facendo felici me e il caro Basilio Caporlingua che insieme tornavamo sfiniti dalle scorribande orlandine. Ultimo lungo caffè e qualche….ricostituente biscottino.
Quando dopo 50 anni sono tornato a San Piero, Armando era volato via per sempre.Mi sono consolato vedendo i miei ricordi danzare sempre nello stesso posto. Certo mancava il mio maestro di musica e quei bravi suonatori. Prendevo un caffè e dicevo: grazie Armando, grazie Nino, grazie Vincenzo. La signorina con l’iphone accanto mi guardava stupita. Me ne fregavo.
Caro Armando, anche adesso ti ringrazio, ma tu sei tanto triste e non mi senti. Lo capisco. Soltanto la marcia di Chopin risuona nel tuo bar.

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Diego Sergio Anzà 

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