DIARIO NOTTURNO – Dolore a Verdù ( di Diego Sergio Anzà)

DIARIO NOTTURNO – Dolore a Verdù  ( di Diego Sergio Anzà)

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Per quindici lunghi giorni, ha resistito e lottato. Ha cercato di tenere gli occhi aperti per ringraziare i suoi fratelli umani che lo hanno curato con amore e dedizione. Adesso i suoi occhi cosmici non vedono più la luce e le sue narici non sentono più i profumi della terra.
È morto il cane avvelenato nel cortile di una casa a Verdù. Un maledetto assassino, con i suoi artigli, gli ha tolto per sempre la vita. Ha vomitato il suo fiele su un essere innocente ed indifeso.
La mia tristezza è grande quanto il senso d’impotenza che sento e che non riesco a scacciare via. Quanto la vergogna di appartenere allo stesso genere del mostro immondo che si aggira indisturbato per San Piero e dintorni, seminando le sue esche di demonio.
Spiegare gesti abietti come questi non è scontato. Ci si potrebbe rifugiare in analisi psicologiche, psichiatriche o antropologiche. Credo che tanta gratuita e, soprattutto, banale efferatezza, non meriti sofisticate disquisizioni scientifiche.  Neppure le parole della Arendt possono avere, in questo caso, un accreditabile riscontro. Qui siamo di fronte alla “semplicità ” del sadismo di…giornata. Di fronte ad un vuoto del pensiero e dell’anima che si raggruma nella disperata voglia di trasgressione maligna. Un gomitolo di odio che vive dentro e che si sfilaccia in volute diaboliche. L’avvelenatore è un uomo qualunque. È un vigliacco. Vive nell’ombra, negli angoli più angusti della vita. La sua “naturale” volontà d’identificazione e di potenza, è perennemente frustrata. Per sfuggire al suo inconsapevole spasmo, si fa consapevole attore di una tragedia scritta in un antro anonimo. Si nasconde nella solitudine della malvagità. Senza sovrastrutture, senza storia. Non può che esercitare il suo “Io” scisso e fuggevole se non contro l’innocenza indifesa. È il “divertimento” della nullità. La mostruosità banale che ghermisce e fugge. La mostruosità dell’uomo qualunque. Incapace di qualsiasi empatia e di confronto, trova in un essere indifeso l’unico obiettivo alla sua portata. Si deifica e dà la morte. Poi, tronfio, torna a passeggiare per qualche istante nel sole, in affannosa attesa della ” sua” nuova notte. E intanto nelle sue tasche tiene pronti altri bocconi avvelenati. E intanto per un altro fratello a quattro zampe, si avvicina il pasto della sofferenza mortale.
Wanted. Cerchiamolo, snidiamolo, questo maledetto avvelenatore dei nostri amici più fedeli. Tutto San Piero e contrade aprano bene gli occhi e drizzino le orecchie. Lo so, è quasi impossibile trovarlo ed identificarlo, data la sua natura di uomo qualunque. Ma chissà, qualche traccia potrebbe  lasciarla e tutti dobbiamo impegnarci a vederla subito. Perché nessun altro Argo possa cadere nella rete dell’ignominia.
Io vorrei vederlo anche per un minuto questo stercorario. Vorrei vedere il suo viso schifoso, le sue mani insanguinate. Vorrei capire se abbia la minima consapevolezza delle sofferenze che ha provocato ad un bambino senza parole. Vorrei capire se addirittura è soddisfatto del coltello che ha conficcato nel cuore buono di Argo. Lo so, è impossibile vederlo perché continua a nascondersi nella sua turpitudine e nella sua vigliaccheria. Un ectoplasma nero ed immondo.
L’Argo di Verdù e tutti gli altri “quattro zampe” del mondo ogni giorno torturati e gasati nei lager degli “umani”, hanno già perdonato e ci salutano dalla loro nuova casa misteriosa.
Noi, avviliti, rispondiamo al saluto, ma non dobbiamo mai perdonare i loro carnefici. MAI.

 

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Diego Sergio Anzà

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